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domenica 15 dicembre 2013

Il tema di Mirko



TEMA
“12 novembre 2003, ore 10.45. Un camion cisterna carico di esplosivo, seguito da un’autovettura, cerca di forzare l’ingresso della base della MSU (Multinational Specialized Unit) a guida italiana, situata nella ex sede della Camera di Commercio di Nassiriya (Iraq). I terroristi ingaggiano un conflitto a fuoco con il personale del corpo di guardia, poi si fanno esplodere nei pressi dell’ingresso, provocando la morte di 8 civili e di 17 militari, tra i quali 12 Carabinieri dell’Unità di Manovra del Reggimento MSU.
Il 12 novembre 2009 il Parlamento italiano approva all’unanimità la Legge che istituisce la Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace.
Nel decimo anniversario della strage di Nassiriya, quali sono i tuoi pensieri relativamente alle missioni internazionali di pace? Quali sentimenti ti suscita il ricordo di questa strage e del grande sacrificio compiuto dai nostri Carabinieri? Quali, a tuo avviso, gli insegnamenti che si possono trarre da questa ormai storica vicenda? ”

SVOLGIMENTO
Alle ore 10.45 del 12 novembre 2003, la base militare della MSU in Nassiriya veniva attaccata da quattro terroristi kamikaze i quali, a bordo di un’autocisterna e di un’auto imbottite di esplosivo, si facevano esplodere dopo aver cercato di forzare il blocco posto all’ingresso e aver ingaggiato un conflitto a fuoco con il personale di guardia. L’attentato causava la morte di 12 Carabinieri, 5 soldati dell’Esercito, 2 civili italiani, 8 civili iracheni, e molte decine di feriti.
Era la prima volta che un gruppo di militari italiani subiva un attacco terroristico di quella portata e lo scalpore che ne derivò fu tale che tutta l’Italia visse, con grande intensità e partecipazione, questo dramma nazionale. Probabilmente fu anche la prima volta che gli italiani, a differenza di altri eventi tragici, si ritrovarono tutti uniti sotto la stessa bandiera, come se fosse stata attaccata la nostra Nazione. 
Io ero ancora un bambino di 6 anni, frequentavo le scuole elementari.  In quella fase della mia esistenza non conoscevo ancora il significato di parole come guerra, missioni di pace, strage, terrorismo, morte. Ancora oggi i miei ricordi non sono particolarmente nitidi sugli accadimenti di quei giorni, divenuti storia della nostra Nazione ma, andando a ritroso con la memoria, avverto ancora a pelle quelle che erano le sensazioni trasmessemi dai miei genitori, dagli insegnanti, dall’atmosfera che si respirava anche diverse settimane dopo l’accaduto. Ho ben presente il minuto di silenzio che la maestra ci aveva fatto osservare all’inizio della lezione il giorno successivo, il volto turbato dei miei genitori di fronte alle crude immagini dell’attentato e a quelle drammatiche dei funerali che scorrevano alla TV, le bandiere, italiana ed europea, innalzate a mezz’asta nel cortile della piccola stazione dei Carabinieri in cui vivevamo. Ricordo che mio padre, di fronte all’incalzare delle mie domande, faticava a nascondere una certa emozione, ma nel contempo mi rassicurava. Tutto ciò, se da un lato stimolava la mia curiosità, dall’altro mi trasmetteva la consapevolezza che qualcosa di particolarmente grave era accaduto.
Oggi nel riflettere su quei fatti mi sorgono numerosi interrogativi, su cosa sia effettivamente accaduto quel giorno, sul significato di una missione militare di pace, su cosa possa spingere dei  giovani uomini e donne a rischiare la propria vita in nome della patria, ma soprattutto come sia possibile contrapporre ad essi la barbarie di uomini capaci di uccidere loro stessi ed altri esseri umani immolandosi in nome di un diverso credo religioso o di un’ideologia politica.
Al di là delle varie congetture che si sono susseguite nel corso degli anni sulle motivazioni per cui è stata colpita da parte dei terroristi proprio la base MSU dei Carabinieri a Nassiriya e non un altro obiettivo o caserma militare, è mia opinione che la scelta non sia stata casuale.
Le virtù unanimemente riconosciute di tutori della sicurezza, di operatori abituati a stare a contatto con la gente, e al tempo stesso di militari, maturate dai Carabinieri nel corso della loro storia ultra centenaria, credo che abbiano trasformato l’Arma, impegnata nella preparazione e nell’addestramento dei nuovi arruolati della polizia locale e nelle attività di aiuto alle popolazioni bisognose, in un nemico prioritario da colpire.
L’argomento delle missioni internazionali di pace è estremamente attuale e largamente dibattuto.
Si chiamano missioni di “peace keeping” quelle operazioni che prevedono l’intervento di forze armate internazionali per  fronteggiare le emergenze che un Paese dilaniato da un conflitto o da una guerra civile, come nel caso dell’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, in cui regnano caos totale, esecuzioni sommarie,  violenze e soprusi, è costretto a vivere quotidianamente.
Di solito le regole di ingaggio prevedono il ristabilimento dell’ordine pubblico e gli aiuti per la ricostruzione di quei servizi essenziali, quali la formazione dell’esercito e della polizia, necessari per instradare il Paese verso la normalità. Ci sono molti altri compiti che impegnano i soldati e tra questi gli aiuti umanitari, mansioni che hanno sempre distinto e reso onore ai militari italiani, intesi come donazione di beni materiali, alimenti o quant’altro, e come sostegno finalizzato al ripristino di servizi indispensabili alla società (scuole, ospedali, forniture di medicinali e generi di prima necessità  ecc.). Questo era l’incarico che  il 12 novembre  2003 i nostri militari stavano portando avanti in un Iraq appena liberato da una feroce dittatura e per il quale stavano riscuotendo stima e riconoscenza da parte della popolazione di Nassiriya e di tutte le Nazioni democratiche.
Qualcuno ha definito questo attacco terroristico l’11 settembre italiano, paragonandolo all’attentato dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York, non tanto per il numero di vittime, quanto per il suo significato simbolico.
Il terrorismo internazionale islamico, principalmente rappresentato dalla famigerata organizzazione di Al Qaeda, è un nemico invisibile che non ha una patria, pur avendo ramificazioni in vari Paesi. Ha insito nel suo DNA il disprezzo della vita, e si serve con cinica disinvoltura di scudi umani e di attentatori suicidi.
Allo stesso modo in cui nell’attentato del 2001 negli USA i talebani avevano voluto colpire i simboli dell’economia occidentale, con questo atto vile consumatosi a Nassiriya due anni più tardi, Al Qaeda ha voluto ferire il cuore pulsante della solidarietà internazionale, di cui i nostri eroici militari erano eccellenti interpreti, che riscuotevano fiducia e stima da gran parte della popolazione, facendosi apprezzare a volte  con gesti molto semplici e spontanei come un sorso d’acqua, una carezza o una caramella ad un bambino. Quegli stessi militari, per gran parte Carabinieri, al servizio della Patria e del tricolore che rappresentavano in quelle terre geograficamente e culturalmente lontane, in quel tragico 12 novembre hanno eroicamente dato la loro vita per quei valori in cui credevano fermamente, salvando con il loro gesto  altruista circa trecento persone che in quel momento popolavano la base militare, impedendo ai terroristi di raggiungere la palazzina del comando, loro reale obiettivo.
Quando sei un militare capisci il vero senso di appartenenza e prima di metterti in salvo di fronte ad un pericolo pensi a difendere, anche a costo della vita, i tuoi compagni che portano la stessa uniforme.

Per questo ritengo giusto, oltre che doveroso, che i protagonisti, militari e civili, di un simile gesto eroico straordinario, siano considerati dalle Istituzioni meritevoli di essere insigniti della medaglia d’oro, un riconoscimento simbolico alla loro memoria altrettanto straordinario, di cui potrebbero onorarsi anche i loro parenti. Sarebbe un segno di riconoscenza verso quegli eroi che, sacrificando la propria vita, con il loro coraggio hanno reso onore alla bandiera italiana nel mondo con un esempio di virtù da trasmettere ai posteri.  

                                                               Mirko De Soricellis

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