TEMA
“12 novembre 2003, ore 10.45. Un camion cisterna
carico di esplosivo, seguito da un’autovettura, cerca di forzare l’ingresso
della base della MSU (Multinational Specialized Unit) a guida italiana, situata
nella ex sede della Camera di Commercio di Nassiriya (Iraq). I terroristi
ingaggiano un conflitto a fuoco con il personale del corpo di guardia, poi si
fanno esplodere nei pressi dell’ingresso, provocando la morte di 8 civili e di
17 militari, tra i quali 12 Carabinieri dell’Unità di Manovra del Reggimento
MSU.
Il 12 novembre 2009 il Parlamento italiano approva
all’unanimità la Legge che istituisce la Giornata del ricordo dei caduti
militari e civili nelle missioni internazionali per la pace.
Nel decimo anniversario della strage di Nassiriya,
quali sono i tuoi pensieri relativamente alle missioni internazionali di pace?
Quali sentimenti ti suscita il ricordo di questa strage e del grande sacrificio
compiuto dai nostri Carabinieri? Quali, a tuo avviso, gli insegnamenti che si
possono trarre da questa ormai storica vicenda? ”
SVOLGIMENTO
Alle
ore 10.45 del 12 novembre 2003, la base militare della MSU in Nassiriya veniva
attaccata da quattro terroristi kamikaze
i quali, a bordo di un’autocisterna e di un’auto imbottite di esplosivo, si
facevano esplodere dopo aver cercato di forzare il blocco posto all’ingresso e
aver ingaggiato un conflitto a fuoco con il personale di guardia. L’attentato causava
la morte di 12 Carabinieri, 5 soldati dell’Esercito, 2 civili italiani, 8
civili iracheni, e molte decine di feriti.
Era
la prima volta che un gruppo di militari italiani subiva un attacco
terroristico di quella portata e lo scalpore che ne derivò fu tale che tutta
l’Italia visse, con grande intensità e partecipazione, questo dramma nazionale.
Probabilmente fu anche la prima volta che gli italiani, a differenza di altri
eventi tragici, si ritrovarono tutti uniti sotto la stessa bandiera, come se
fosse stata attaccata la nostra Nazione.
Io
ero ancora un bambino di 6 anni, frequentavo le scuole elementari. In quella fase della mia esistenza non conoscevo
ancora il significato di parole come guerra, missioni di pace, strage,
terrorismo, morte. Ancora oggi i miei ricordi non sono particolarmente nitidi sugli
accadimenti di quei giorni, divenuti storia della nostra Nazione ma, andando a
ritroso con la memoria, avverto ancora a pelle quelle che erano le sensazioni
trasmessemi dai miei genitori, dagli insegnanti, dall’atmosfera che si
respirava anche diverse settimane dopo l’accaduto. Ho ben presente il minuto di
silenzio che la maestra ci aveva fatto osservare all’inizio della lezione il
giorno successivo, il volto turbato dei miei genitori di fronte alle crude immagini
dell’attentato e a quelle drammatiche dei funerali che scorrevano alla TV, le
bandiere, italiana ed europea, innalzate a mezz’asta nel cortile della piccola
stazione dei Carabinieri in cui vivevamo. Ricordo che mio padre, di fronte
all’incalzare delle mie domande, faticava a nascondere una certa emozione, ma
nel contempo mi rassicurava. Tutto ciò, se da un lato stimolava la mia curiosità,
dall’altro mi trasmetteva la consapevolezza che qualcosa di particolarmente
grave era accaduto.
Oggi
nel riflettere su quei fatti mi sorgono numerosi interrogativi, su cosa sia
effettivamente accaduto quel giorno, sul significato di una missione militare
di pace, su cosa possa spingere dei giovani uomini e donne a rischiare la propria
vita in nome della patria, ma soprattutto come sia possibile contrapporre ad
essi la barbarie di uomini capaci di uccidere loro stessi ed altri esseri umani
immolandosi in nome di un diverso credo religioso o di un’ideologia politica.
Al
di là delle varie congetture che si sono susseguite nel corso degli anni sulle
motivazioni per cui è stata colpita da parte dei terroristi proprio la base MSU
dei Carabinieri a Nassiriya e non un altro obiettivo o caserma militare, è mia
opinione che la scelta non sia stata casuale.
Le
virtù unanimemente riconosciute di tutori della sicurezza, di operatori
abituati a stare a contatto con la gente, e al tempo stesso di militari,
maturate dai Carabinieri nel corso della loro storia ultra centenaria, credo
che abbiano trasformato l’Arma, impegnata nella preparazione e
nell’addestramento dei nuovi arruolati della polizia locale e nelle attività di
aiuto alle popolazioni bisognose, in un nemico prioritario da colpire.
L’argomento delle missioni
internazionali di pace è estremamente attuale e largamente dibattuto.
Si chiamano missioni di “peace keeping”
quelle operazioni che prevedono l’intervento di forze armate internazionali
per fronteggiare le emergenze che un Paese
dilaniato da un conflitto o da una guerra civile, come nel caso dell’Iraq dopo
la caduta di Saddam Hussein, in cui regnano caos totale, esecuzioni sommarie, violenze e soprusi, è costretto a vivere
quotidianamente.
Di solito le regole di ingaggio
prevedono il ristabilimento dell’ordine pubblico e gli aiuti per la
ricostruzione di quei servizi essenziali, quali la formazione dell’esercito e
della polizia, necessari per instradare il Paese verso la normalità. Ci sono
molti altri compiti che impegnano i soldati e tra questi gli aiuti umanitari,
mansioni che hanno sempre distinto e reso onore ai militari italiani, intesi
come donazione di beni materiali, alimenti o quant’altro, e come sostegno
finalizzato al ripristino di servizi indispensabili alla società (scuole,
ospedali, forniture di medicinali e generi di prima necessità ecc.). Questo era l’incarico che il 12 novembre
2003 i nostri militari stavano portando avanti in un Iraq appena
liberato da una feroce dittatura e per il quale stavano riscuotendo stima e
riconoscenza da parte della popolazione di Nassiriya e di tutte le Nazioni
democratiche.
Qualcuno ha definito questo attacco
terroristico l’11 settembre italiano, paragonandolo all’attentato dell’11
settembre 2001 alle Twin Towers di New York, non tanto per il numero di vittime,
quanto per il suo significato simbolico.
Il
terrorismo internazionale islamico, principalmente rappresentato dalla
famigerata organizzazione di Al Qaeda, è un nemico invisibile che non ha una
patria, pur avendo ramificazioni in vari Paesi. Ha insito nel suo DNA il
disprezzo della vita, e si serve con cinica disinvoltura di scudi umani e di
attentatori suicidi.
Allo stesso modo in cui nell’attentato
del 2001 negli USA i talebani avevano voluto colpire i simboli dell’economia
occidentale, con questo atto vile consumatosi a Nassiriya due anni più tardi, Al
Qaeda ha voluto ferire il cuore pulsante della solidarietà internazionale, di
cui i nostri eroici militari erano eccellenti interpreti, che riscuotevano
fiducia e stima da gran parte della popolazione, facendosi apprezzare a volte con gesti molto semplici e spontanei come un
sorso d’acqua, una carezza o una caramella ad un bambino. Quegli stessi
militari, per gran parte Carabinieri, al servizio della Patria e del tricolore
che rappresentavano in quelle terre geograficamente e culturalmente lontane, in
quel tragico 12 novembre hanno eroicamente dato la loro vita per quei valori in
cui credevano fermamente, salvando con il loro gesto altruista circa trecento persone che in quel
momento popolavano la base militare, impedendo ai terroristi di raggiungere la palazzina
del comando, loro reale obiettivo.
Quando sei un militare capisci il vero
senso di appartenenza e prima di metterti in salvo di fronte ad un pericolo
pensi a difendere, anche a costo della vita, i tuoi compagni che portano la
stessa uniforme.
Per
questo ritengo giusto, oltre che doveroso, che i protagonisti, militari e
civili, di un simile gesto eroico straordinario, siano considerati dalle Istituzioni
meritevoli di essere insigniti della medaglia d’oro, un riconoscimento
simbolico alla loro memoria altrettanto straordinario, di cui potrebbero
onorarsi anche i loro parenti. Sarebbe un segno di riconoscenza verso quegli
eroi che, sacrificando la propria vita, con il loro coraggio hanno reso onore
alla bandiera italiana nel mondo con un esempio di virtù da trasmettere ai
posteri.
Mirko
De Soricellis
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